L’editoriale di Quattroruote di Agosto 2024, commenta il cambio di paradigma tecnologico, le implicazioni e le contraddizioni della transizione ecologica europea nel settore automotive. Ne risulta una visione moderatamente pessimista, che forse non tiene in debito conto la scarsità di risorse necessarie alla transizione, i problemi delle reti energetiche esistenti e il verdetto del mercato sull’auto elettrica nel medio periodo. Nonché le reali strategie delle case automobilistiche che negli Stati Uniti, Germania e Francia stanno attualmente producendo veicoli elettrici a livelli inferiori di circa il 40%-45% rispetto ai piani, come riporta Bloomberg.
Altrimenti le conclusioni sarebbero ulteriormente pessimiste. Una sintesi dell’editoriale.
“Alla fine, Ursula von der Leyen ce l’ha fatta: il (nuovo) Parlamento europeo l’ha rieletta presidente della Commissione. Ora andrà misurata la tenuta di una maggioranza – Ppe, S&D, Renew e Verdi – che non sembra recepire le indicazioni politiche scaturite da elezioni vinte da destre e forze conservatrici. La von der Leyen è infatti chiamata a un difficile lavoro rappacificatore (…) Il suo intervento davanti al nuovo Parlamento è stato un capolavoro di equilibrio in quello che una volta avremmo definito stile democristiano. E lo si è visto quando si è iniziato a parlare di Green deal, di automotive e di morte del motore termico. Chi sperava in un atto d’abiura su quanto fatto finora, o addirittura nel coup de théâtre della rinuncia al phase out del 2035, è rimasto deluso. Allo stesso tempo, però, la von der Leyen ha comunque colto l’opportunità di un’apertura volta a rassicurare i tanti malpancisti che anche all’interno della maggioranza esprimono perplessità sulla direzione presa dalla Commissione. Se da un lato è stato ribadito che non è previsto alcun dietrofront sulle politiche perseguite negli ultimi anni da Bruxelles, dall’altro si è voluto dar prova di un’inedita elasticità: «Il Green deal dovrà essere portato avanti con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione. Per esempio, l’obiettivo di neutralità climatica per le automobili fissato per il 2035 crea prevedibilità per gli investitori e i produttori. Per raggiungere questo target sarà necessario un approccio tecnologicamente neutrale, nel quale i carburanti sintetici possono svolgere un ruolo attraverso una modifica mirata del regolamento nell’ambito della revisione prevista». Come si vede, nulla di straordinario, a partire dal riferimento a una deroga – quella per gli e-fuel – che di fatto è già stata concessa su insistenza della Germania (nessun cenno ai biocarburanti: del resto, sembra che anche l’Italia, la prima a chiedere un’eccezione specifica, abbia perso convinzione).
La barra, dunque, rimane puntata dov’era puntata prima. (…) Rinunciare al 2035 significherebbe il colpo finale all’industria, ormai troppo esposta sugli investimenti green o supposti tali per poter accettare un cambio di policy. Quello che l’automotive può fare è agire sulla residua flessibilità, formare alleanze e lavorare sulle tempistiche. Non sarà facile. I dati indicano chiaramente come il mercato europeo sia stagnante, dopo la ripresa post Covid: le Case hanno deciso di produrre meno macchine e venderle a un prezzo più alto, perseguendo una precisa volontà di massimizzare i margini (da qui, anche, il confuso tentativo di portare sotto il proprio controllo le reti di vendita). E d’altro canto pure l’elettrico – la nuova soluzione che, imposta per decreto, avrebbe dovuto indurre milioni di persone a fare il salto tecnologico – si è incagliato di fronte al rifiuto del pubblico. Prosciugato il bacino degli innovatori e degli early adopter, la curva di adozione dell’EV – anche al netto dei fattori abilitanti ancora da risolvere, primo fra tutti la produzione di energia green e la messa in campo di una rete di ricarica di qualità coerente con le intenzioni – è entrata in una terra di nessuno di cui non si conosce l’estensione. La crescita delle Bev, sostenuta artificialmente dagli aiuti economici garantiti dai vari governi e ora in esaurimento, perché chiaramente insostenibili, si è fermata: nel primo semestre è stata appena del 2% e la quota di mercato (comprese le autoimmatricolazioni) è ormai bloccata attorno al 15%. Se uno va a riprendere le dichiarazioni di alcuni ceo e le previsioni di svariate società di consulenza, oggi avremmo dovuto essere almeno al doppio.
Alla luce della consapevolezza che l’elettrico non sfonderà per lungo tempo, ci si attrezza per adeguare di gran corsa i piani prodotto. C’è chi rispolvera il termico (Stellantis, senza dar nell’occhio, fa riapparire il diesel in alcuni mercati), chi sposta in avanti la promessa di una gamma soltanto Bev (l’Audi, che ha deciso di stoppare la produzione della Q8 e-tron, ora parla del 2033 e pure la Porsche dice che «per la transizione ci vorranno anni») e chi inizia a domandarsi se certe scelte tranchant non abbiano mancato di tempismo (anche negli States, Ford e GM, una volta Case leader e ora ridotte a comparse, hanno ammesso di aver sbagliato tutto). C’è poi un altro elemento da considerare: l’Europa non vuole toccare né il 2035 né le tappe intermedie. Questo significa che da subito si chiede una riduzione delle emissioni inquinanti impossibile da ottenere con quel misero 15% di elettrico. Dunque, i costruttori non hanno molte alternative, se vogliono raggiungere i target ed evitare le salatissime multe: o comprano i crediti green da chi li ha maturati (la Tesla da sempre del loro commercio ha fatto un business) oppure producono meno termiche, facendo così surrettiziamente crescere la percentuale di emissioni zero (allo scarico). Resta la domanda essenziale: aveva senso fare la rivoluzione per gettare le basi della marginalizzazione dell’auto europea?”